GIOVANNI CRISOSTOMO
È rappresentato benedicente. Indossa il pallio con bordo a croci. La sua è una figura alta e magra, con barba non molto lunga.
Primato della vita sugli studi e dello spirito sulla lettera scritta. Dall’enorme produzione esegetica a commento delle Scritture di San Giovanni detto Crisostomo, letteralmente “bocca d’oro“, emerge un filo conduttore che lui stesso spiega nella prima omelia sul Vangelo di Matteo: “Sarebbe necessario che avessimo bisogno dell’aiuto delle Scritture, ma che mostrassimo una vita così pura che la grazia dello Spirito occupasse per le nostre anime il posto dei libri, e che, come questi sono scritti con l’inchiostro, così i nostri cuori lo fossero per mezzo dello Spirito“.
La prima predica fu, insomma, la sua stessa vita coraggiosa e tormentata.
Alla scuola di Libanio: Nato da una famiglia agiata di Antiochia tra il 344 e il 354, si dedica agli studi di retorica sotto la guida del maestro Libanio. Secondo quanto racconta di sé, da giovane era irrequieto e “incatenato alle passioni del mondo”. Perde presto il padre, un alto ufficiale dell’esercito. La madre si ritrova, così, a crescere da sola lui e la sorella maggiore.
A 18 anni la scelta di diventare cristiano con il battesimo celebrato dal vescovo Melezio. Libanio lo stima a tal punto da volerlo come successore “se i cristiani non me lo avessero rubato!”. Frequentando la cerchia di Diodoro, Giovanni, il futuro vescovo di Tarso, impara a leggere le Scritture secondo il metodo della scuola antiochena. Al bando l’allegoria, la spiegazione dei testi biblici è letterale come radicale la sua vita cristiana. Per alcuni anni si ritira in solitudine sul monte Silpio nei pressi di Antiochia. Al ritorno in città, nel 381, è ordinato diacono e, cinque anni dopo, sacerdote.
È intensa e brillante l’attività di predicatore tanto che, afferma Socrate Scolastico nella Storia ecclesiastica, “il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava“. Giovanni riesce a rendere affascinante e concreto il testo biblico, avvicinandolo alla vita delle persone e alle loro domande di senso. Sottolinea l’importanza della comunione dei beni e del lavoro, e la necessità della liberazione degli schiavi. Chiama alla condivisione individuale e collettiva.
Considera l’amore per i poveri un segnale della presenza del Signore. Per lui il povero è un “altro Cristo” e il “sacramento dell’altare” deve prolungarsi “nella strada” con il “sacramento del fratello“. Parola e vita devono coincidere. Basta vivere il dettato evangelico: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge e i profeti“. Perché, spiega, “tutto ciò lo può capire facilmente sia un contadino, sia uno schiavo, una vedova o un ragazzo, e perfino chi non sembra affatto intelligente”.
Giovanni incoraggia sempre a tradurre in pratica le parole del Vangelo. “Qualcuno potrebbe dire — si chiede — che vantaggio ha chi ascolta la Parola, ma poi non fa quanto gli viene detto?”. E risponde: “Non ti scoraggiare, perché non sarà piccolo il vantaggio che deriva anche dal semplice ascolto. Infatti chi ascolta condannerà sé stesso, gemerà, e alla fine arriverà a fare proprio quanto viene detto”.
Nella capitale dell’impero: Nel 397 l’imperatore bizantino Arcadio lo sceglie come nuovo arcivescovo di Costantinopoli.
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Giovanni depone i vescovi simoniaci,
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combatte l’usanza della coabitazione di preti e diaconesse,
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predica contro l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l’arroganza dei potenti,
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destina gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità.
È un patriarca scomodo, non teme di dire la verità neanche all’imperatrice Eudossia. La sovrana vede in lui una minaccia per i privilegi della corte tanto da indire, nel 403, con l’appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, un processo illegale contro Giovanni. Nel 404 è condannato. E lascia Costantinopoli. Quando sente vicina la fine, alla diaconessa Olimpia e alle sue compagne dice: “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto”. Neanche il confino in Armenia impedisce agli amici di raggiungerlo. Mentre è diretto verso il Ponto, muore lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce a cui era stato sottoposto. È il 14 settembre 407. Le sue spoglie furono collocate a Costantinopoli, successivamente deposte nella Basilica Vaticana. Giovanni XXIII lo proclamò patrono del Concilio Vaticano II.
Giovanni Crisostomo comprende l’esperienza dei monaci, la bellezza del condurre un’esistenza in comune e in solitudine con Dio, ma l’uomo realizzato è, in ogni caso, il cristiano coerente con la propria fede in ogni ambiente. Esperienza, questa, accessibile a tutti. “È un errore mostruoso – scrive in Contro gli oppositori della vita monastica – credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene. Laici e monaci devono giungere a un’identica perfezione”.
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